Se Padova è stato l’ultimo periodo della breve e intensa attività apostolica di sant’Antonio, Bologna e la Romagna sono stati gli inizi. Di certo è stato presente nel 1223-1224, quando fu lettore all’università di Bologna; poi ci fu il periodo della predicazione in Francia e lo ritroviamo nel 1227, eletto ministro Provinciale del nord Italia per tre anni.
E’ la Benignitas, una delle prime poche biografie dedicate al santo, a darci notizie: “Fu lui infatti il primo insegnante dell’Ordine che abbia diretto una scuola di teologia, e ciò a Bologna, poiché ivi fioriva uno Studio di tutte le moderne scienze liberali, il più insigne e valente che esistesse allora al di qua dei monti. Per tale motivo parve opportuno ai frati dirigenti di eleggere colà, in funzione di professore, Antonio, come quello ch’era il più idoneo a tale ruolo”. La notizia è confermata da fra Paolino da Venezia.
Ma chi furono i “frati dirigenti” a incaricare l’insegnamento ad Antonio? Certamente frate Francesco stesso con la ormai celebre lettera del 1224: “Al fratello Antonio, mio vescovo, auguro salute. Approvo che tu insegni teologia ai frati, purché, a motivo di tale studio, tu non smorzi lo spirito della santa orazione e devozione, come è ordinato nella Regola. Sta’ sano”. Non deve meravigliare il titolo di “mio vescovo”: è un segno di rispetto per la dottrina grande che in quel momento era considerato il teologo di maggior rilievo dell’Ordine. Una conoscenza incredibile di tutto il sapere del tempo in campo della natura, della teologia e della Sacra Scrittura che Antonio mai volle ostentare e tenne umilmente in segreto fino alla occasione della predica nel duomo di Forlì, quando venne chiamato per obbedienza a sostituire il predicatore ufficiale assente. La Romagna fu la prima a beneficiare dell’apostolato e della parola di Antonio. A Rimini si ricorda la predica ai pesci e il miracolo della mula che si inginocchia davanti al santissimo, mentre il suo padrone Bononillo fatica molto a credere. Del suo atteggiamento discreto e dell’approvazione del santo di Assisi ne fa fede anche il Liber miraculorum: “Tuttavia questo uomo santo, Antonio, non ebbe la presunzione di insegnare, benché ne fosse pregato dai confratelli, se non dietro l’esplicita volontà del beato Francesco”.
Conclude la vicenda l’Assidua: “Antonio, abbandonata la pace del silenzio, fu costretto a uscire in pubblico. Affidatogli il compito di predicare, l’amatore del silenzio viene tratto fuori… sorretto dall’autorità di chi lo inviava”.
La sua permanenza a Bologna fu breve, secondo lo spirito itinerante che caratterizzava i primi tempi del francescanesimo, ma lasciò certamente un segno, richiamando scolari che sarebbero poi diventati illustri nella Chiesa: Aimone di Faversham, quarto generale dell’Ordine; Guglielmo, professore a Parigi e a Oxford, Francesco della Rovere, divenuto poi papa Sisto IV. E tra gli insegnanti Felice Peretti poi Sisto V e Lorenzo Ganganelli, futuro papa Clemente XIV.